Saturnalia: la Sardegna tra horror, folklore e politica

Con Saturnalia, il team di Santa Ragione rivisita e reinventa il folklore sardo immergendo chi gioca in un’atmosfera horror onirica. Il titolo, supportato dalla Fondazione Sardegna Film Commission, nasce da un concept sviluppato nel contesto del bando Europa Creativa del 2017 e tutto incentrato sull’esplorazione di un labirintico borgo sardo, con il solo aiuto della luce di un fiammifero.

Accanto alla tematica horror, Saturnalia porta avanti una riflessione politica e sociale. Un percorso, quest’ultimo, già intrapreso dallo studio nel precedente Wheels of Aurelia. Abbiamo voluto approfondire il rapporto del gioco con i luoghi, le tradizioni e i contesti storici reali. Ecco il resoconto della nostra chiacchierata con Pietro Righi Riva, direttore creativo di Santa Ragione.

 

 

Saturnalia si ambienta nel borgo fittizio di Gravoi, in Sardegna, e in un momento storico preciso di cui si trovano anche svariati riferimenti disseminati per lo spazio di gioco: la fine degli anni Ottanta. Cosa vi ha spinti a scegliere proprio questo contesto storico?

 

Abbiamo scelto gli anni Ottanta per due motivi. Anzitutto, sono anni che si prestano moltissimo al genere horror. A livello tecnologico rappresentano un momento di transizione: ci sono già le fotografie istantanee, i VHS, i telefoni, ma ancora non ci sono i cellulari o internet. Un aspetto molto importante in ottica horror. Al contempo, la ricerca storica che portiamo avanti con Santa Ragione non poteva che passare dagli anni Ottanta: dopo aver esplorato i Settanta con Wheels of Aurelia, ci interessava sondare l’evoluzione del contesto italiano. Negli anni Ottanta abbiamo avuto la seconda ondata di femminismo, le lotte dei lavoratori, c’è stata una specie di apertura sul versante individuale della partecipazione pubblica. Abbiamo però scelto di addentrarci nel discorso politico in modo molto diverso da quello di Wheels of Aurelia. Lì la politica era presente in modo molto esplicito perché i protagonisti ne parlavano esplicitamente nei loro dialoghi. Saturnalia invece può essere giocato dall’inizio alla fine come un’avventura survival horror, ma approfondendo le storie dei personaggi e del villaggio di Gravoi si possono seguire le tracce di una riflessione su temi come famiglia, patriarcato, status quo, oppressione. Sono tutti temi che abbiamo inserito in modo tutt’altro che esplicito.

 

Il villaggio al centro del gioco si chiama Gravoi. Il riferimento al comune di Gavoi è voluto? È la rappresentazione di un luogo reale?

 

Ci siamo affidati al nome Gravoi per avere una sonorità plausibile, in linea con quella di altri comuni sardi. Il villaggio in sé è un collage puro di almeno venti location diverse che abbiamo avuto modo di visitare. Abbiamo scelto un luogo fantastico e non reale per evitare rischi di appropriazione e stigmatizzazione di tradizioni realmente esistenti: con un horror il rischio è sempre quello di fuorviare il significato del contesto che racconti, e noi non volevamo finire a proporre mistificazioni come “i Mamuthones sono cattivi” o cose del genere, ricontestualizzando delle maschere al di là del loro significato originario. Abbiamo deciso di inventare un villaggio tutto nuovo proprio per questo. Ovviamente l’abbiamo inserito poi nella costellazione dei carnevali sardi, ma maschere, costumi e usanze sono inventate. Uno dei temi del gioco è anche come la tradizione possa “opprimere” il cambiamento: anche per questo ci è sembrato giusto non rifarci a una tradizione specifica. Anche gli elementi folkloristici sono ispirati e costruiti su elementi reali, ma non sono il calco di elementi reali. Ci siamo ispirati, ma abbiamo mantenuto il nostro contesto fantastico, evitando qualsiasi aspettativa documentaristica: alcuni eventi storici che abbiamo citato nel gioco sono di fantasia, per quanto si rifacciano a processi e contesti reali. Ci interessava chiarire il più possibile che Saturnalia non fosse un gioco documentaristico. È molto pericoloso, a mio avviso, creare giochi che ibridano realtà e fantasia in modo incosciente.

 

 

Esplorando Gravoi, abbiamo avuto per esempio modo di trovare dei cartelloni che rappresentavano Bettino Craxi. Altri oggetti ci sono sembrati familiari, per non parlare poi degli edifici. Quante cose ispirate alla realtà ci sono nel villaggio di Gravoi?

 

Tantissime. Quasi tutti gli oggetti sono ricostruzioni che abbiamo caratterizzato a partire da reference fotografiche, o d’archivio, o individuate durante il location scouting. Raramente abbiamo fatto dei calchi precisi del materiale: più spesso si è trattato di trarre ispirazione, evitando riproposizioni troppo precise. A ogni modo, ogni cosa a Gravoi ha una reference reale. È stato il frutto di un lavoro di catalogazione di immagini enorme, di cui si è occupata la nostra art director, Marta Gabas.

 

Ci interessa molto il location scouting: come avete lavorato sul fronte sopralluoghi e ricerca?

 

IVIPRO ci ha messi in contatto con la Sardegna Film Commission. Ci hanno chiesto di che cosa avessimo bisogno e abbiamo comunicato la nostra volontà di fare foto video e riprese audio di alcuni luoghi o situazioni, fornendo una lista di desiderata specifici e reference che cercavamo. Alcune richieste erano precise, altre più generiche; per esempio ci serviva una fortezza o un castello medievale, e su quello abbiamo lasciato scegliere loro. Ci è stato assegnato un location manager, Simone Contu, che prima di accompagnarci ha analizzato i nostri desiderata e ci ha proposto un itinerario di sette giorni, con varie integrazioni alle nostre richieste iniziali. Una volta concordati i luoghi, a gennaio 2018 siamo partiti e abbiamo fatto una settimana intensa di visite e sopralluoghi. Abbiamo avuto modo di visitare il Museo dell’Arte Mineraria di Iglesias, Porto Flavia, il Parco archeologico di Santa Cristina, l’Area archeologica Su Nuraxi di Barumini, la diga del Tirso, il Castello Malaspina e il Museo Casa Deriu di Bosa, i comuni di Orani e Gavoi. Abbiamo fatto interviste a guide ed esperti del sistema minerario, per esempio, e approfondito anche la questione sindacale e storica delle miniere sarde. È stato bellissimo. Alla fine, siamo tornati con un pacchetto densissimo di materiale. Sarebbe interessante fare un documentario post-gioco che racconti proprio questa esperienza.

 

Fotoconfronto tra luoghi reali e luoghi finzionali

 

Per quanto riguarda il comparto audio del titolo, ci sono musiche ispirate a luoghi reali? A cosa si ispira la bellissima filastrocca che si sente in apertura?

 

Quella filastrocca l’ha scritta mio padre, che faceva il giornalista e oggi scrive poesie per divertimento e mi aiuta ogni tanto con i miei progetti: per esempio ha scritto il testo della sigla di Wheels of Aurelia. Per Saturnalia gli ho chiesto di scrivermi una filastrocca che parlasse dei temi del gioco e lui ha tirato fuori quella che ora si sente nella schermata del titolo, che parla di atmosfere e rituali. Per le musiche e i suoni, in generale, abbiamo ascoltato molto materiale sonoro durante i nostri sopralluoghi, ma anche in questo caso la scelta è stata quella di non riprodurre integralmente le nostre fonti: ci siamo affidati a campionature, ispirandoci a e reinterpretando le musiche e i suoni degli strumenti tradizionali sardi.