Il digitale non esiste*

No, quell’asterisco non è un refuso, ma ci torneremo tra poco. È notizia recente che il governatore della California, Gavin Newsom, abbia firmato una legge che obbliga gli store digitali a precisare che, quando si acquista un videogioco, un film o un brano musicale in formato digitale, in realtà si sta solo acquistando una licenza a utilizzare questi beni. Il termine “comprare” è quindi bandito, a meno che la sopraccitata specifica non venga chiaramente condivisa con il cliente (invece che relegata a qualche postilla).

Non solo: dovranno anche essere esplicitate tutte le restrizioni connesse all’utilizzo della licenza. In altre parole, non si possiede quanto acquistato: chi compra un bene digitale deve essere consapevole che di quel bene non avrà pieno controllo e che in qualsiasi momento potrebbe perderlo per sempre.
 

Non sarebbe la prima volta: tra il 2015 e il 2016, alla chiusura dello store Desura, chi non ebbe l’accortezza di scaricare in anticipo i propri giochi li perse tutti, sebbene regolarmente comprati.
Nel gennaio 2019, la chiusura di Wii Shop ha implicato l’impossibilità futura di acquistare alcuni titoli digitali disponibili solo su quella piattaforma. Per l’occasione, Nintendo aveva anche annunciato l’interruzione, nel corso del medesimo anno, della funzione di riscaricamento dei videogiochi acquistati. Non restava altra via che scaricarli prima che il servizio fosse dismesso e sperare che la propria Wii non andasse a fuoco.
Quei titoli sono di fatto andati perduti, perché resi inaccessibili al pubblico. Non perduti in assoluto, perché da qualche parte (i server proprietari) esistono ancora, ma preservazione e accessibilità non sono forse due concetti indissolubili?
Ad aprile 2024 sono stati interrotti i servizi online di 3DS e Wii U. Nelle FAQ presenti sul sito Nintendo, alla domanda “Rimarrà possibile scaricare gli aggiornamenti o i software acquistati?” segue sibillina risposta: “Nel prossimo futuro rimarrà possibile scaricare aggiornamenti e riscaricare i software e i contenuti aggiuntivi acquistati nel Nintendo eShop”. In quel “nel prossimo futuro” si annida tutta l’incertezza di un formato, quello digitale, tanto comodo a prima vista, quanto insidioso.
 
La storia si ripete. Di recente, in concomitanza con la chiusura da parte di Ubisoft dei server di The Crew, gli utenti si sono visti cancellare il gioco dai propri account (in tutta risposta, è nata una petizione online rivolta alla Commissione Europea).
La chiusura dello store di Xbox 360, nel luglio 2024, ha comportato oltre al danno (la scomparsa di numerosi giochi digital only) pure una curiosa beffa: chi vi scrive ha tentato per un mese e mezzo di acquistare Black Knight Sword dallo store web, dove di fatto era disponibile per l’acquisto a prezzo scontato, senza successo. Il processo si bloccava al pagamento, nonostante i numerosi tentativi. Black Knight Sword è quindi ora ufficialmente inaccessibile su Xbox, mentre su PlayStation 3 rimane disponibile esclusivamente acquistando tramite la console (non via web), non si sa fino a quando. Poi sarà perduto per sempre, perché esiste solo in digitale e solo su quelle due piattaforme. Per quanto sia comprensibile che l’attenzione delle grandi major non sia la conservazione, sarebbe forse stato opportuno facilitare l’acquisto a chi desiderava “salvare” qualcosa.

 

 

Il digitale ha certamente dei pregi, ma anche difetti che spesso chi gioca tende ad accantonare. Proviamo a sintetizzare i pro per chi gioca e i pro per chi produce.
 
Per chi gioca:
– Comodità di accesso (finché il produttore lo desidera)
– Meno inquinamento (ma anche il digitale, con i suoi server, inquina)
– Non servono scaffali in casa
– Il digitale non si usura
 
Per chi produce:
– I giochi non si possono prestare/rivendere
– Meno inquinamento (ma anche il digitale, con i suoi server inquina)
– Meno spese di produzione (filiera che si accorcia e niente merce invenduta)
– Controllo totale dei prezzi
– Possibilità di rimuovere il gioco dagli store quando il produttore lo desidera
 
Per quanto non esaustivi, questi punti consentono alcune riflessioni. I pro, per esempio, sembrano andare a vantaggio soprattutto di chi produce. Osserviamo anche la comunicazione: nel Nintendo eShop di Switch compaiono slogan come “I giochi che vuoi, sempre disponibili!”, “I giochi che vuoi, quando vuoi!” e “Porta la tua collezione di giochi sempre con te”; la nuova PlayStation 5 Pro viene annunciata nella sua versione digital only, con il lettore blu-ray trasformato in accessorio da acquistare a parte.
Microsoft rincorre il digitale con servizi in abbonamento come il Game Pass, definito il Netflix dei videogiochi. Sulla carta si rivela un’opportunità molto conveniente, perché consente di accedere a un’ingente quantità di giochi, novità incluse, a fronte di una cifra mensile piuttosto contenuta (sebbene in aumento), ma bisogna considerare anche l’altra faccia della medaglia:
 
– i titoli vengono mensilmente aggiunti ma anche tolti: si è quindi in balia di qualcuno che decide cosa si può giocare e cosa no, dettando contenuti e tempi ludici (rischio omogeneizzazione della fruizione)
– si tende a giocare perché “costretti”, per non vedere sprecati i propri soldi
– si tende all’accumulo, con numerosi titoli aggiunti in wishlist e la possibilità concreta di giocarne solo una parte.
 
Infine, c’è la questione del diritto di recesso. Garantito su supporto fisico, ma non altrettanto sul fronte digitale. Di fatto, è a discrezione della piattaforma.
Su Epic Games Store e Steam si può recedere entro 14 giorni dall’acquisto, a patto di non aver giocato più di 2 ore. Su Microsoft Store entro 14 giorni ma solo se non si è accumulata una quantità significativa di tempo di gioco. Anche Sony consente di annullare l’acquisto di un contenuto digitale entro 14 giorni dalla data di acquisto, basta non aver già avviato lo streaming o il download.
Nintendo non ammette recesso. Quando si acquista su eShop appare questo messaggio: “Acconsento che Nintendo inizi a dare esecuzione al contratto quando clicco sul pulsante Compra, prima della scadenza del periodo di recesso. In virtù di quanto appena indicato, riconosco di perdere il mio diritto di recesso”. Se non si accetta, non si può acquistare. La mail che viene inviata dopo l’acquisto digitale recita: “Hai il diritto di recedere da questo contratto, senza indicarne le ragioni, entro 14 giorni”, e qualche riga più in giù: “Il diritto di recesso scade prima in caso dei seguenti tipi di contratto: contratti che prevedono obblighi di pagamento per i contenuti digitali non distribuiti su supporto solido se, prima che noi dessimo inizio all’esecuzione della prestazione, tu avevi dato il tuo consenso esplicito a che noi iniziassimo l’attività prima della scadenza del periodo di recesso, avevi accettato che tramite il rilascio del tuo consenso avresti perso il tuo diritto al recesso e noi ti avevamo dato conferma del contratto”. Andando quindi a verificare nelle FAQ: “Non siamo in grado di fornire rimborsi o sostituzioni per gli acquisti errati”.

 

 

Non ci siamo scordati di quell’asterisco citato in apertura. Non è un refuso, perché se è vero che il digitale per certi versi non esiste perché non possiamo controllarlo, è altrettanto vero che ci sono delle eccezioni. Ci riferiamo ai videogame DRM free, quelli venduti da GOG, per intenderci (e talvolta anche da Steam). In quel caso, chi compra il gioco lo acquista realmente ed è libero di disporne come meglio crede, naturalmente rispettando la legge. Se un giorno GOG dovesse chiudere, quel file di installazione sarebbe sano e salvo nei nostri hard disk.
 
Concedeteci infine una riflessione di natura non più pratica ma morale: chi acquista in digitale lo fa per se stesso e per la propria comodità, spesso approfittando di sconti. Non ha bisogno di spazio in casa, non è legato al supporto e alla sua obsolescenza. E come la mettiamo con i posteri? Stando a una news del maggio 2024 pare che i giochi acquistati su Steam non siano cedibili agli eredi. Poco male, potrebbe dire qualcuno, lascio la password ai miei figli, tanto Steam mica lo sa che sono morto. Può darsi, ma fino a quando? E quanto vogliamo essere egoisti?

 

Articolo a cura di Andrea Dresseno