Ravenna e il folklore romagnolo sono i protagonisti di Nott Longa, videogame realizzato dal duo Amhardcore e recentemente pubblicato su Steam e Google Play Store. Un videogioco indie estremamente affascinante: sia per quanto riguarda la narrazione, così fortemente incentrata sulle figure magiche della nostra tradizione, sia per l’interessante lavoro di ricerca estetica in cui lo stile retro diventa esplicita manifestazione della nostalgia che permea la cultura contemporanea.
Le location del gioco riprendono l’aspetto di alcuni luoghi reali di Ravenna, qui reimmaginati: la Darsena, il Cimitero Monumentale, il Vecchio Macello.
Abbiamo intervistato Luisa Maria Mengolini di Amhardcore per approfondire insieme a lei la genesi del progetto e scoprirne più nel dettaglio le caratteristiche.
Ciao Luisa. Ti va di presentarci il vostro studio? Come e quando è nato?
Amhardcore non è un vero e proprio studio, ma un progetto di collaborazione nato tra me e il mio compagno, Michele Malpezzi. Entrambi abbiamo acquisito nel tempo competenze videoludiche, perlopiù da autodidatti: lui nella programmazione, io nella grafica. L’idea di creare un videogioco insieme era nell’aria da molto tempo e abbiamo pensato che fosse giunta l’occasione giusta quando abbiamo scoperto la call for ideas di Almagià Creative Hub, progetto coordinato da Rete Almagià ed E Production per promuovere sperimentazione artistica e imprenditorialità volte a una rigenerazione urbana del quartiere Darsena di Ravenna.
Lo scorso aprile l’idea progettuale del nostro videogioco è stata selezionata insieme ad altre cinque idee per ricevere sostegno nel corso della produzione; a maggio i lavori sono iniziati. Così è nato Amhardcore.
Arriviamo più nello specifico al vostro gioco, Nott Longa. Da dove ha origine l’idea di questo progetto? Ti va di descriverci un po’ più approfonditamente il gioco?
Come suggerisce anche il nome di Amhardcore, l’idea di Nott Longa viene dalla volontà di rappresentare la realtà rurale e anfibia dell’area in cui siamo nati, la Romagna, per raccontare temi onirici e nostalgici. Per farlo abbiamo voluto sperimentare con il medium videoludico, seguendo una narrazione ibrida e un’estetica che richiama il pulp delle origini, con atmosfere che si avvicinano al folk horror.
Nott Longa è un’avventura grafica che incrocia questi mondi diversi, il folklore più arcano dell’Emilia Romagna e l’immaginario nostalgico del vecchio retrogaming. Nott Longa significa lunga notte in dialetto romagnolo (o meglio, uno dei dialetti) ed è il nome del microcosmo in cui, nella storia del gioco, ci si trova intrappolati: un vecchio videogioco da cabinato dove glitch e fantasmi hanno trasformato quello che doveva essere un semplice retrogame dell’età dell’oro in una dimensione straniante. Nott Longa è un limbo virtuale dove gli spettri di una nostalgia che non si è sopita convivono con le creature oscure di un passato dimenticato. In questo senso, quest’ambientazione si configura come uno spazio stratificato e simbolico che rappresenta l’area grigia tra passato e futuro, tra nostalgia e oblio, per creare una trama narrativa aperta sul tema del nostro rapporto con il tempo. Su questo si sviluppano le diverse piccole storie di Nott Longa: il protagonista interagisce con queste memorie prigioniere di loop, vuoti e amnesia, mentre cerca il modo di uscire e tornare alla propria realtà.
Il racconto si struttura così in forma non lineare e frammentaria, con un gameplay fatto di esplorazione e rompicapo, in cui le scelte che si compiono in relazione agli abitanti di Nott Longa determinano finali con toni diversi. Diciamo frammentaria perché abbiamo ideato Nott Longa come il primo capitolo di un racconto più ampio e sotterraneo: abbiamo voluto lasciare a chi esplora la possibilità di immaginare le risposte ai dilemmi della notte simbolica del gioco (Perché il sole non sorge? Cosa sono queste entità?); alcuni elementi che si trovano nel gioco restano in sospeso, come scatole chiuse.
Nott Longa si ispira al folklore romagnolo e alcune delle sue location traggono spunto dal territorio di Ravenna. Come avete lavorato per individuare i contenuti narrativi? Vi siete basati su libri, sopralluoghi, confronti con le/gli abitanti?
Il gioco si ispira in più punti a temi e iconografia dal folklore dell’Emilia Romagna, perché l’idea era di creare un’opera che reinterpretasse questo patrimonio per raccontare qualcosa anche al di là della realtà locale. Per questo, prima della produzione vera e propria una buona parte di tempo è stata dedicata alla ricerca e allo studio, per individuare e conoscere a fondo tradizioni popolari, figure mitiche, usi, fiabe, ecc.
In primis abbiamo consultato libri di studi folklorici: tra i tanti, uno fondamentale è stato Antichi miti di Romagna. Folletti, spiriti delle acque e altre figure magiche di Anselmo Calvetti. Da questo abbiamo tratto le notizie sulle creature mitiche dell’immaginario popolare. Abbiamo tentato di rappresentarle nel gioco in modo da farne emergere le caratteristiche originarie. Ad esempio c’è la Borda, una creatura maligna e ambigua che secondo la leggenda strangola i bambini: essa si trova in diverse varianti in molte tradizioni dell’Italia settentrionale, sempre connessa a contesti acquatici e paludosi, e significa a volte nebbia, spettro, maschera e anche larva. Nella trasposizione abbiamo così cercato di renderla fedele a questa sua natura. Lo stesso per altre figure come la Piligrena che è lo spirito dei fuochi fatui; la Zirinelda, mostro dei macelli; la Bessabova, creatura serpiforme che presiede alle bufere.
Anche i sopralluoghi sono stati importanti per riuscire a creare un ambiente di gioco che richiamasse le realtà locali di Ravenna, soprattutto per quanto riguarda il Cimitero monumentale e la Darsena, che sono location molto espressive, dove si trovano anche stratificazioni di storie. Abbiamo cercato di ricreare l’ambiente della Darsena riprendendo fedelmente le architetture: nel gioco è stata riprodotta per esempio la facciata paraboidale dell’ex Sir. L’archeologia industriale che caratterizza la Darsena di Ravenna è un elemento chiave per la storia del gioco, perché è dove si manifesta l’azione corrosiva del tempo ma anche la sua fossilizzazione.
Per rappresentare i luoghi di Ravenna è stato importante anche poter consultare la Fototeca della Biblioteca Classense, che ringraziamo per avere reso disponibile tanto materiale in formato digitale sul suo sito. Così abbiamo potuto farci un’idea di come si presentava la Darsena nel passato, le sue trasformazioni nel corso del tempo. Tutte queste informazioni poi sono state reinterpretate in un environment essenziale, nell’estetica minimal della pixel art a 1 bit che richiama le immagini binarie dei primi schermi.
Un’altra risorsa fondamentale è stato il portale PatER (Catalogo del Patrimonio culturale dell’Emilia-Romagna) dove sono consultabili liberamente molti materiali di collezioni museali della regione. Questo ci ha permesso di conoscere direttamente un patrimonio dimenticato, quello degli oggetti della vita quotidiana del passato, e di includerlo nel gioco.
Parliamo del vostro rapporto con le istituzioni locali. Come vi hanno supportato lungo il percorso? Avete trovato un terreno fertile e interessato?
Nella collaborazione con le istituzioni è stato importante il sostegno di Almagià Creative Hub, che ci ha aiutato per esempio a metterci in contatto con un grandioso collaboratore come Mondoriviera, musicista che ha curato la componente sonora del gioco.
Un’altra importante figura di supporto è stata Laura Bagnoli, collaboratrice che ci ha assistito in ogni fase del progetto, tra le altre cose gestendo le relazioni con i musei. Da loro abbiamo ricevuto il permesso di usare le riproduzioni fotografiche di oggetti delle loro collezioni: queste, trasformate in immagini binarie, sono state direttamente trasposte nella grafica di gioco. All’inizio temevamo di trovare porte chiuse, dato che il videogioco come medium non è ancora molto metabolizzato in buona parte della cultura italiana. Noi inoltre ci presentavamo con un progetto in divenire, con tratti weird e atmosfere cupe. Ma alla fine le esperienze con i musei sono state – quasi – tutte positive e il gioco ha suscitato perlopiù entusiasmo e interesse.
Quello che balza subito all’occhio è il particolare stile grafico, molto distintivo. Anche le sonorità non passano certo inosservate. Come mai questa scelta estetico/musicale?
Lo stile grafico è radicalmente connesso al senso del gioco. La pixel art è un’estetica molto diffusa oggi nei videogiochi indie – e non – e per noi questo è uno dei tanti fenomeni di retro-estetica in cui si manifesta la nostalgia che caratterizza la nostra cultura. Come grafica, ho tentato di reinterpretarla in chiave binaria (bianco e nero) per fare emergere la sua ambiguità, la sua estraneità, dare l’impressione di qualcosa di familiare e alieno allo stesso tempo. Ho cercato di impiegarla criticamente, perché il gioco vuole tracciare una narrazione aperta intorno al tema della nostalgia, delle sue zone d’ombra, delle sue confusioni. La scelta estetica del fondo nero con figure bianche è dettata anche dalla storia interna del gioco, infatti Nott Longa è un regno oscuro, bloccato nel tempo, una notte perenne dove non si sa se il sole sorgerà mai più.
Queste idee si trovano del tutto incarnate anche nelle sonorità di Mondoriviera, che immergono l’ambiente di gioco in un’atmosfera onirica, retro-synthetica, da fiaba psichedelica. Mondoriviera è stato capace di creare una OST perfetta per il gioco quando questo non era ancora ben definito e costruito, ed è stato un po’ magico, come se avesse indovinato il suo senso ancor prima che esso emergesse. Averlo potuto coinvolgere è stata una grande fortuna.
Cosa ne pensate del rapporto tra videogiochi e territorio/patrimonio culturale? Credete possa svilupparsi come filone di produzione “tipicamente” italiano?
Per noi il videogioco è un medium carico di potenzialità espressive e che consente ampi margini di sperimentazione, soprattutto per quanto riguarda la possibilità di scardinarne i confini tradizionali, disinnescarne le convenzioni e contaminarlo con altre dimensioni: storia, arte e folklore sono solo alcune di queste. La nostra idea era proprio quella di fare incontrare – o scontrare – queste realtà.
Il fatto di vivere in un territorio con questa complessità culturale e ricchezza di storia ci può spingere a usare il videogioco non solo come medium narrativo ma anche come strumento critico e di ricerca, e questa è una frontiera ancora da indagare, una delle tante. Non possiamo fare previsioni, ma sappiamo che è un campo pieno di potenzialità e speriamo di poterci sperimentare di nuovo al più presto.