Monica e la Milano del Sessantotto

Monica è un che nasce dalla mente di alcuni studenti della Civica Scuola di Cinema “Luchino Visconti” di Milano. Il titolo, caratterizzato da una forte componente narrativa, si presenta nella veste di visual novel e fa vivere al giocatore le disavventure dell’omonima protagonista, a cui viene affidato un salone da parrucchiera nella Milano del 1968.

Se inizialmente il carattere della giovane la manterrà distante dai disordini studenteschi, man mano che i personaggi faranno il loro ingresso nel salone trascineranno lei (e l’utente al suo fianco) nel vivo dello scenario Sessantottino e delle sue trasformazioni. Interessante lo stile grafico del videogioco, immediatamente riconoscibile e composto da collage di materiale fotografico, artistico o d’archivio opportunamente modificato e personalizzato, che immerge immediatamente il giocatore in un contesto visivo che rievoca la pop-art di Richard Hamilton.
È però la scelta del team di ambientare il racconto per le vie di Milano che incuriosisce maggiormente. Collocandosi in uno spazio preciso e riconoscibile della penisola italiana, Monica si trasforma in un testo documentale che, col pretesto dell’interattività, si sofferma a osservare nel dettaglio il contesto storico e sociale italiano del ’68. IVIPRO ha intervistato gli sviluppatori del titolo per scoprire, assieme a loro, le nuove frontiere di un intrattenimento storicizzato, radicato nella cultura quanto nei mutamenti della società.

 

 

Monica è una storia interattiva che si ambienta nella Milano del ’68, più specificamente all’interno di un salone di bellezza. Quali sono le idee alla base del progetto?

 

In fase di concept abbiamo sperimentato molte idee diverse, la nostra priorità era non essere banali nel trattare un tema che è già stato trattato molte volte. Ispirandoci a giochi come Sunset e Papers, Please ci è venuto in mente di poter usare un punto di vista esterno agli avvenimenti, per raccontarli in modo più imparziale e consentire al giocatore di farsi una propria opinione. Visto che volevamo parlare più di costume che di politica, un salone da parrucchiera ci è sembrato il setting ideale. Grazie a questa scelta abbiamo potuto mantenere un tono leggero, ma non superficiale, ed esplorare non tanto i grandi cambiamenti del ’68, quanto piuttosto le piccole mutazioni del quotidiano, delle interazioni sociali.

 

Volete presentare brevemente il vostro team?

 

Il team è composto da nove persone, provenienti da due dei corsi della Civica: multimedia e animazione. La fase di concept e il tratteggio dell’albero narrativo e delle meccaniche di gioco è stato realizzato collettivamente. Successivamente ci siamo divisi in sottogruppi: Giovanni Soldino e Marta Bucciella hanno scritto la sceneggiatura. Giulia Bianchi, Francesca Gattanini, Francesco Marsala, e Lorenzo Riva hanno realizzato i visual. Giulia Ciurriero e Alessandro Maffioletti hanno programmato il gioco. Tommaso Tagliaferri si è occupato degli effetti sonori e della musica. Nonostante la divisione di compiti ci siamo mossi sempre come squadra, ciascuno ha contribuito anche al di là delle sue mansioni specifiche, ed è per questo che nei titoli di coda del gioco troverete solo i nostri nomi, senza attribuzione di ruoli. Siamo stati seguiti da Matteo Pozzi e Claudia Molinari, il team di game designer We Are Müesli, che hanno guidato il team senza però mai imporsi creativamente e lasciandoci totale controllo sul progetto.

 

 

Per la ricostruzione del clima di rivoluzione culturale del tempo vi siete affidati a lunghe ricerche storiografiche. Non possiamo fare a meno di pensare che una buona parte di queste si sia soffermata sul territorio milanese: quanto di Milano, all’atto pratico, c’è in Monica?

 

La fase di ricerca è stata precedente all’idea di Monica e del suo salone ed è stata quindi molto ampia. Abbiamo analizzato il ’68 a livello globale, con particolare attenzione ai movimenti per i diritti civili in America, che abbiamo identificato come precursori dei movimenti europei. In ogni caso si trovano nel gioco riferimenti a realtà esclusivamente milanesi, come il movimento Beat e i suoi luoghi di ritrovo, ma non abbiamo voluto radicare troppo la storia in un luogo unico. Non volevamo parlare solo di Milano, ma rendere il respiro globale di quei mutamenti.

 

Avete effettuato ricerche sul territorio? Lo scenario milanese resterà al di fuori delle vetrine del salone oppure irromperà con prepotenza nel racconto?

 

Il ’68 è stato un periodo dove non si poteva stare troppo tranquilli, le idee circolavano ovunque, anche dentro i saloni. La protesta degli studenti non poteva rimanere fuori dalla vetrina. Ma allo stesso tempo la storia si concentra su una parrucchiera che, almeno inizialmente, non vuole avere niente a che fare coi protestanti. Abbiamo quindi dovuto trovare una via di mezzo per conciliare le due cose. Il salone non sarà invaso letteralmente dai manifestanti, ma vi entreranno dei personaggi-simbolo, che riassumono fazioni del movimento studentesco. Poi starà al giocatore decidere quanto spazio lasciare a ciascuno di essi.

 

Per ricostruire il clima del ’68, siete passati anche da testimonianze o aneddoti di qualcuno che ha vissuto appieno quegli anni?

 

Questa produzione è solo metà di un progetto sul ’68 organizzato dalla nostra scuola, completato da un cortometraggio in 360°. Per prepararci a queste due produzioni è stata la scuola stessa a organizzare un ciclo di incontri in cui abbiamo avuto modo di parlare con persone che hanno fatto parte del movimento di studenti e lavoratori, e porre le nostre domande. Malgrado il fatto che gli incontri abbiano avuto luogo prima dell’inizio della produzione del videogioco, sono comunque stati utili per vedere come i sessantottini di ieri si sentono oggi, e mettere in prospettiva il periodo rispetto al nostro presente.

 

 

Affascinante lo stile grafico del titolo, che assembla in un collage variopinto artwork originali e fotografie. Vi siete trovati a scattare fotografie di location reali o a raccogliere materiale d’archivio? Troveremo qualche foto d’epoca di Milano tra gli scatti di Monica?

 

Purtroppo non abbiamo potuto utilizzare molto materiale d’archivio per una questione di diritti di immagine. Non avendo un grande budget non potevamo comprare molto materiale d’epoca. Nonostante questo abbiamo trovato una soluzione creativa per aggirare il problema. Le location e molti props sono modellati a partire da foto che avremmo voluto ma non potevamo usare, abbastanza mascherate da non crearci beghe legali, ma comunque ben radicate nel periodo.

 

Qualche parola sul comparto sonoro/musicale: che musiche avete scelto per il titolo? Anche per la scelta della colonna sonora vi siete affidati alla ricerca?

 

Sempre per gli stessi problemi di budget siamo dovuti ricorrere a musica royalty free, ma anche in questo campo siamo riusciti a mantenerci il più possibili aderenti al periodo. Essendo ogni personaggio un simbolo per un’intera categoria sociale era fondamentale caratterizzarli anche musicalmente. A ciascuno dei personaggi principali è stato quindi assegnato un genere musicale preciso e abbiamo cercato tracce che potessero riproporre sonorità il più possibile simili a quelle che, effettivamente, si potevano sentire alla fine degli anni Sessanta.

 

Articolo a cura di Stefano Caselli