“Eravamo in sei: Mauro, io, mio fratello Gianni, Marco, Massimo e l’altro Mauro, tutti coetanei, eccetto me, di quattro anni più grande […] «Là sotto, annate a vedé là sotto. Spostate i spini». Non ce lo facemmo ripetere due volte. In pochi minuti avevamo aperto un varco sotto il quale comparve un piccolo passaggio al livello del terreno […] Il fascio luminoso correva veloce sulle pareti; poi, a un certo punto, si fissò su quella di sinistra. Due grandi occhi ci stavano osservando”.
Narni, centro geografico d’Italia. Narni, probabile fonte d’ispirazione per la celebre serie di romanzi di C.S. Lewis, Le cronache di Narnia. Narni, custode di un misterioso e affascinante mondo sotterraneo. Quei sei ragazzi, che in una foto datata 1977 sembrano pronti per le riprese di un film d’avventura à la Goonies, di lì a due anni avrebbero fatto una scoperta incredibile. Durante una delle tante esplorazioni, il giovane gruppo di speleologi si imbatté quasi per caso in un’apertura sotto i giardini di San Bernardo. In superficie: l’orto dell’anziano Ernani, che dopo aver rimproverato i ragazzi per avergli acciaccato l’insalata, indicò loro quel misterioso pertugio nel terreno. In profondità: quella che oggi viene chiamata la Narni Sotterranea.
Per i ragazzi fu solo l’inizio di un lungo viaggio alla scoperta di un complesso sistema di ipogei. L’affresco di un angelo che teneva nella mano sinistra un globo accolse gli esploratori nella dimenticata chiesa dedicata a San Michele Arcangelo. Negli anni successivi, tassello dopo tassello, la Narni Sotterranea iniziò a popolarsi di suggestioni ed enigmi. Come non bastasse l’emozione di aver riportato alla luce un’antica porzione della città di cui ormai non v’era più traccia, i ragazzi si trovarono di fronte a un mistero che avrebbe accompagnato uno di loro per più di vent’anni. Si scoprì che quei luoghi erano stati sede non solo del tribunale dell’Inquisizione, notizia di cui si era persa memoria negli archivi cittadini, ma anche di una stanza delle torture e di una piccola cella adiacente. Proprio da quella cella inizia il mistero più grande della Narni Sotterranea.
“Non avevamo mai visto nulla di simile durante la nostra pur breve vita. Eravamo tutti e sei in un piccolo ambiente con copertura a volta, lo sguardo che roteava per ammirare le quattro pareti e il soffitto. Intorno a noi, sull’intonaco, con un oggetto appuntito erano stati incisi migliaia di segni”. Lo stesso stupore che ha accompagnato noi di IVIPRO lo scorso agosto, quando siamo andati a visitare quel luogo. Tra quei graffiti, traccia concreta delle sofferenze patite dagli inquisiti, emerge a più riprese la mano di un misterioso detenuto, tale Giuseppe Andrea Lombardini, che ha voluto lasciare ai posteri un messaggio, ancora non completamente decifrato, fatto di simboli alchemici e massonici.
Roberto Nini, uno di quei sei avventurosi ragazzi, dirige ancora oggi il gruppo di volontari che gestisce il sito. L’archeologo, corrispettivo umbro del Robert Langdon di Dan Brown, ha dedicato gran parte delle propria vita a decifrare il mistero di quel detenuto. Lungo il percorso, che l’ha portato a incontrare uomini di chiesa, a visitare l’Archivio Segreto Vaticano, a fare la conoscenza di membri della massoneria e a estendere le proprie ricerche fino all’Irlanda del Nord, Nini si è imbattuto anche in un altro inquisito, quel bigamo di Narni anch’egli menzionato all’interno del volume Alla ricerca della verità (Edizioni Thyrus, 2016). Un’estrema e appassionata curiosità, non priva di un pizzico di sana ossessione, ha guidato Nini nel corso degli anni.
Nell’epoca di Stranger Things, con i Goonies stabilmente presenti nell’immaginario di più d’una generazione, l’esoterica storia della Narni Sotterranea e di questo avventuroso gruppo di ragazzi non attende altro che un videogioco.
Articolo a cura di Andrea Dresseno
One reply on “Alla ricerca della verità: spunti per un videogioco su Narni“
Comments are closed.